Il tema della geolocalizzazione dei dipendenti in smart working è tornato al centro dell’attenzione dopo un’importante decisione del Garante per la protezione dei dati personali. Con il provvedimento n. 135 del 13 marzo 2025, l’Autorità ha sanzionato un’azienda per aver monitorato la posizione geografica di numerosi lavoratori durante lo svolgimento delle attività da remoto.
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La sanzione del Garante e le motivazioni
La vicenda ha preso avvio da un reclamo presentato da una lavoratrice, a cui si è aggiunta una segnalazione dell’Ispettorato della Funzione Pubblica. Secondo quanto reso noto dal Garante nella comunicazione ufficiale pubblicata l’8 maggio 2025, il datore di lavoro non può tracciare la posizione fisica dei dipendenti mentre operano in modalità agile. Tale pratica viola le normative a tutela della riservatezza e della dignità del lavoratore, oltre a non rispettare quanto previsto dallo Statuto dei lavoratori.
I limiti del controllo digitale nel lavoro agile
L’intervento dell’Autorità ribadisce che eventuali esigenze di controllo non possono tradursi in una sorveglianza costante o in tecnologie che permettano il monitoraggio diretto delle attività svolte a distanza. Il ricorso a strumenti invasivi, come la geolocalizzazione continua, non è compatibile né con i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, né con le tutele previste per i lavoratori in smart working.
Smart working e privacy: un equilibrio necessario
La gestione del lavoro agile richiede un delicato equilibrio tra flessibilità operativa e rispetto della privacy. Il provvedimento del Garante pone un freno all’uso indiscriminato di tecnologie di tracciamento e richiama i datori di lavoro all’adozione di pratiche rispettose dei diritti individuali. Nell’ambito dello smart working, la geolocalizzazione non può essere giustificata come strumento di controllo, se non in presenza di precise condizioni legali e contrattuali.