Crisi demografica, tra vent’anni 6,8 milioni di lavoratori in meno

La fascia delle persone in età da lavoro andrà sempre più restringendosi, schiacciata agli estremi dai giovani ancora inabili al lavoro (under 15) e i pensionati (oggi considerati over 64). La perdita stimata è di 6,8 milioni di persone in meno, a fronte di un incremento di 3,8 milioni di persone non in età da lavoro. Questo il dato riportato dalla ricerca condotta dalla Fondazione Di Vittorio – Cgil .

Quest’effetto della crisi demografica avrà ripercussioni sul tasso di occupazione, che misura l’effettivo andamento occupazionale.

Le proposte avanzate dalla Fondazione Di Vittorio – Cgil muovono in direzione di una revisione sostanziale delle condizioni di lavoro. Precarietà, salari, regime di orari e nuova gestione dei flussi migratori in entrata e in uscita.

Le cause del calo delle nascite

Il rapporto prevede che il crollo del tasso di natalità “è legata, oltre che all’andamento demografico della popolazione, a molti altri fattori tra cui mancate politiche di conciliazione, scarsità di servizi e concreti interventi a sostegno della natalità. La la sua forte accelerazione va analizzata anche con un approccio diverso da quello tradizionale”. Continua: “L’aggravarsi di scenari sanitari, economici e sociali ha sempre giocato un ruolo fondamentale nelle scelte delle persone, provocando picchi particolarmente negativi di natalità. Si accentuano elementi di sfiducia verso il futuro di cui come è noto l’occupazione, è un elemento fondamentale. Gli interventi quindi devono contemporaneamente avere caratteristiche di immediatezza e di strutturalità”.

Crisi demografica, giù offerta di lavoro e produttività.

L’indubbia crisi demografica italiana avrà un impatto sulla quantità dell’offerta di lavoro e sulla composizione anagrafica degli occupati con delle ripercussioni sulla produttività, sull’assistenza e sulla previdenza. Un’Italia priva dell’energia delle giovani generazioni sconterà nel medio e lungo periodo un deficit di crescita. Questo non soltanto per il calo dei nuovi nati ma anche per le scarse capacità dimostrate finora dal nostro Paese di valorizzare gli immigrati e creare le condizioni per una loro integrazione e stabile permanenza.”

Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio – Cgil, pone anche la questione della fuga dei cervelli, altro fenomeno deleterio che attanaglia il nostro Paese da almeno due decenni.

È bene ricordare che mediamente ogni anno circa 100mila persone emigrano dall’Italia verso l’estero, in cerca di un salario migliore ma anche di poter svolgere il lavoro per il quale si sono formati e che in Italia raramente gli viene proposto. Si tratta per circa un terzo di giovani in età compresa tra 25 e i 34 anni e con un’alta percentuale di laureati o con titolo di studio superiore. Peraltro, i dati dei trasferimenti anagrafici, come quelli degli iscritti all’AIRE, sono fortemente sottostimati”.

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